Genitori e figli: quando l’identificazione emotiva rischia di fare danni
Quello del genitore è, senza dubbio, un ruolo estremamente difficile. Se è vero che ad essere genitori si impara a mano a mano che i figli crescono, sappiamo anche che, fin da subito, vorremo fare del nostro meglio per assicurare loro un ambiente familiare sereno ed equilibrato.
Tuttavia, non sempre risulta facile definire il proprio ruolo genitoriale. Se da un lato è importante comprendere le ansie, le paure, le tristezze dei nostri figli, dall’altro c’è l’esigenza di mostrarsi sufficientemente forti e sicuri accompagnandone la crescita, provando a non intromettersi troppo e a non farsi condizionare dai sentimenti in corso.
Sicuramente, dal Covid-19 in poi, la condivisione e una crescente intimità in casa tra adulti e ragazzi hanno reso i genitori più sensibili nei confronti dei figli e, di conseguenza, sempre meno autorevoli.
Complice il lavoro da casa e un’attenzione maggiore al tempo da dedicare in famiglia, i genitori si sono ritrovati ad azzerare la distanza emotiva, a svolgere un ruolo più amicale che ha portato a valorizzare meno il supporto a distanza, quello che potremmo definire calcisticamente, “a bordo campo”.
Identificazione emotiva con i figli: perché può minare la loro autonomia?
Quando ci identifichiamo troppo con le emozioni di disagio di chi proteggiamo, siamo più indotti ad agire direttamente al posto di chi è in difficoltà, senza dargli il tempo di trovare una soluzione in autonomia.
Questa identificazione emotiva con i nostri figli non li aiuta nella crescita, bensì li fa sentire incapaci di cavarsela da soli, schiacciati dalla richiesta di affrontare una particolare situazione alla maniera dei grandi. Il gioco che si instaura è evidente: il troppo affetto, l’iperprotezione e l’eccessiva partecipazione ai sentimenti dei figli, toglie spazio a un libero sentire e a un’eventuale azione riparativa.
Nelle varie fasi evolutive, in primo luogo, i bambini dovrebbero essere in grado di avvertire che sono in difficoltà, dopodiché cercare di reggere questo sentimento negativo (da qui il valore della frustrazione) e, infine, attivare delle risorse personali al fine di stare meglio. Tutto questo processo è lento e il ruolo complesso dei genitori è quello di saper ascoltare le difficoltà e lasciare che i figli attivino delle strategie per stare meglio con i loro tempi.
Troppo spesso, invece, succede che i genitori avvertano istintivamente la sofferenza dei figli e si affrettino a risolverla per non soffrire troppo loro, affaticati da ansie e preoccupazioni protese a voler rischiarare il futuro. Il desiderio degli adulti è molto comprensibile, ma soffoca e toglie sicurezza ai bambini, che vengono spinti a pensare che solo i genitori sanno affrontare le difficoltà della vita.
La sfida da inaugurare è quella di porsi a una giusta distanza, riconoscendo innanzitutto che come genitori siamo troppo in ansia per le fatiche emotive dei nostri figli e che il valore di essere una guida autorevole sta nel saper attendere, nel porsi di fianco senza sostituirsi alle loro azioni, riuscendo ad accompagnarli con fiducia, così da attivare risorse personali ancora poco esplorate.
Psicologa – Psicoterapeuta Psichemilano