Con il termine autolesionismo si è soliti riferirsi a quei comportamenti con cui una persona danneggia il proprio corpo, infliggendosi lesioni di varia natura in modo intenzionale, ripetuto e fine a se stesso.

Questo disturbo colpisce prevalentemente gli adolescenti e negli ultimi anni si è purtroppo assistito ad un crescente aumento di giovani che ne soffrono. L’autolesionismo rappresenta una strategia disadattiva messa in atto dal ragazzo per riuscire a far fronte ad uno stato di sofferenza mentale percepita come non sopportabile e quindi gestibile solo nella trasformazione in un dolore fisico, una via perchè possa essere tollerabile.

Il giovane che ne soffre, nell’infliggersi tali ferite percepisce un temporaneo alleggerimento e sollievo dalla sofferenza psicologica che lo porterà a ricorrervi ogni qual volta viva una forte situazione di fatica e disagio psichico provocando in un lui una forma di dipendenza.

Un aspetto centrale, riconosciuto dalla maggior parte dei clinici, è che alla base di tale patologia vi sia una disregolazione emotiva.

La persona che ne soffre è completamente in balia di emozioni così intense che la fanno sentire vulnerabile e impotente di fronte ad un malessere che non riesce ad esprimere e controllare.

La capacità di regolazione emotiva viene sostituita dal gesto autolesivo, che svolge una funzione di regolatore emozionale e autocura.

Nel lavoro clinico è necessario valutare innanzitutto la gravità e l’intensità delle ferite riportate dal ragazzo, in modo da capire se vi sia la necessità di un supporto farmacologico abbinato al lavoro terapeutico.

L’intervento psicologico, che coinvolge non solo il ragazzo ma anche i genitori, si focalizza sulla comprensione della sofferenza sottesa, grazie alla creazione di un clima relazionale accogliente che possa permettere all’adolescente di trasformare, mettendo in parola, ciò che accade a livello emotivo dentro di lui.

Questo permette nel tempo un maggior contatto e comprensione di sé e delle proprie emozioni, che progressivamente non vengono più sentite come esplosive e distruttive, ma come tollerabili e dicibili; questo si riflette in una maggiore narratività e quindi comprensione di quanto avviene dentro.

La ricostruzione della funzione di regolazione emotiva, permette al ragazzo di abbandonare la condotta autolesiva, perché si è progressivamente ristabilito quel contatto con sé e le proprie emozioni, che per varie ragioni nel corso dello sviluppo si era interrotto.

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