Avere ragione o essere felici? 

Quante volte ti è capitato di voler assolutamente mantenere il punto in una discussione anche su argomenti futili – “Io ho lavato i piatti ieri, oggi tocca a te”, “Se fai la strada che dico io arriviamo prima”, “Quel rigore c’era” – e poi provare una certa soddisfazione nel riuscire a spuntarla?
Non ha importanza quale sia il motivo del contendere, riuscire a dimostrare di avere ragione innesca una scarica neurochimica che ti fa provare piacere.

Studi neuroscientifici, infatti, hanno dimostrato che il nostro cervello acquisisce una condizione di felicità se riesce a vivere in uno stato di certezza e di stabilità emotiva. In altre parole, per avere ragione il cervello è portato a tralasciare numerosi segnali nella ricerca di prove che confermino le teorie che già conosce, ignorando quelle che le contraddicono (confirmation bias).

 “Il cervello dà priorità a tutto ciò che sembra offrirci stabilità, omogeneità con ciò che già sappiamo”, spiega David DiSalvo nel suo libro “Cosa rende felice il tuo cervello (e perché devi fare il contrario)”, per questa ragione “cerchiamo selettivamente informazioni che rinforzino le nostre posizioni e tendiamo a ignorare le altre”. 

Il meccanismo cerebrale che induce a cercare prove a sostegno della nostra posizione contrastando quelle che la confutano, prende il nome di “chiusura cognitiva”. Dal momento che il cervello è alimentato e guidato da schemi consolidati, ogni volta che siamo di fronte a una situazione nuova esso si sente minacciato e dunque tende a “chiudersi” e a innescare reazioni automatiche.

Tuttavia, questa ricerca di stabilità e di certezze ci induce molto spesso in errori di valutazione. DiSalvo ci pone in guardia sottolineando che quando siamo incapaci di cogliere certi dettagli cadiamo in una “distorsione selettiva” che tende a farci prediligere ed elaborare un’informazione ricavandola da una porzione isolata dell’ambiente che ci circonda, escludendo tutte le altre, anche se assolutamente evidenti.

E allora come fare a ritrovare la “lucidità” per comprendere davvero ciò che sta accadendo? Innanzitutto, agendo con più calma, fermandoci a riflettere senza prendere per buona la prima sequenza di risposte che ci manda il cervello. In questo modo saremo in grado di prendere in considerazione tutti i fattori rilevanti per la risoluzione del problema.

Le pratiche di Mindfulness possono risultare molto utili in questo senso poiché forniscono gli strumenti per aiutarci a mantenere alta l’attenzione e rispondere agli stimoli interni ed esterni in modo consapevole, invece che con reazioni automatiche spesso disfunzionali o inefficaci.

Dott.ssa Flaminia Morin

Psicologa – Istruttore Mindfulness

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