Adolescenti e ritiro sociale: il ruolo dei genitori

Sebbene si sia acuito con la pandemia da Covid-19, il fenomeno del ritiro sociale negli adolescenti non è, di certo, un tema nuovo. 

Da anni, per esempio, si sente parlare della sindrome di hikikomori (fenomeno riscontrato inizialmente in Giappone poi diffusosi anche in Europa e Stati Uniti) caratterizzata da una forma estrema di ritiro sociale. 

Tuttavia, se da un lato la pandemia ha esacerbato sofferenze già esistenti, dall’altro ha permesso a molti ragazzi di esternare i propri disagi e di parlare delle proprie fatiche.

Per i genitori che assistono alla graduale e inesorabile chiusura dei ragazzi al mondo esterno, può non essere facile comprenderne le motivazioni, tant’è che spesso, in modo superficiale, sono portati a pensare che la colpa sia dei social o dei videogiochi. Il vero problema, in realtà, è che non riescono ad ascoltare e ad accettare i ragazzi per quello che sono, volendogli attribuire a tutti i costi caratteristiche vincenti, così da attenuare il senso di impotenza. 

Ricordiamoci, però, che gli adolescenti hanno una mente in grado di affrontare le crisi per cambiare e trasformarsi (o regredire in alcuni casi). La mente degli adulti invece cerca di mantenere un equilibrio che, di solito, è rappresentato dal figlio ideale.

Ritiro sociale negli adolescenti: cause

Partiamo dal presupposto che, in quanto nativi digitali, gli adolescenti di oggi fanno ben presto esperienza di due realtà, una fisica e una virtuale.  La seconda, sicuramente più facile e immediata della prima, è caratterizzata dalla costante richiesta di performance e di successo.

Continuamente esposti a un numero molto elevato di stimoli, se da un lato i ragazzi di oggi sono abituati a fare tante cose contemporaneamente, non lo sono più a sperimentare la solitudine che invece è importantissima per costruirsi un’idea di sé.

Il ritiro sociale li priva, inoltre, del rispecchiamento emotivo fornito dalle relazioni reali e prolungate con i coetanei, rendendoli incapaci di gestire le emozioni che quindi diventano soverchianti e non gli permettono di affrontare la realtà.

Di conseguenza, questi ragazzi vivono in un eterno presente in cui non c’è speranza per il futuro e provano un forte senso di inadeguatezza nei confronti delle aspettative proprie e degli adulti. In quest’ottica, non sono loro che scelgono di chiudersi in casa, è che non c’è altra scelta.

Il senso di inadeguatezza, di solito, sopraggiunge nel momento in cui i ragazzi si accorgono di non essere più i bambini trionfanti che sono stati per i genitori che, proteggendoli dai fallimenti, li hanno lasciati impreparati al futuro. 

In questo scenario, il ritiro del figlio è visto esso stesso come un fallimento, non un’occasione per mettersi in discussione come in realtà dovrebbe essere.

I genitori dovrebbero provare a capire fino in fondo cosa provano i loro figli, senza preconcetti, lasciandosi il più possibile alle spalle questo senso di fallimento. I ragazzi ci stanno dicendo che soffrono e vanno raggiunti là dove sono. Dovremmo cercare di lasciare spazio a questa sofferenza dandogli la possibilità di deprimersi. 

Dott.ssa Giorgia Pierangeli
Psicologa – Psicoterapeuta

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